10.1 Quadro generale
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La storia dell’animazione socio-educativa rivolta ai giovani in Italia coincide principalmente con la storia dell’associazionismo impegnato nell’educazione extra-scolastica rivolta ad adolescenti e giovani.
Tra le classi borghesi già all’inizio del XX secolo erano diffuse specifiche attività nel tempo libero (es. sport e giochi all'aria aperta) come un modo per educare i giovani ai valori del nazionalismo.
Nel 1912 nacque il Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori (CNGEI), all’epoca organizzazione paramilitare ispirata al modello Baden-Powell. Il CNGEI divenne fin da subito una delle principali organizzazioni scout a livello nazionale sostenute dallo Stato.
Dopo la breve vita dei Ragazzi Esploratori Italiani (REI), associazione scout pacifista e aconfessionale diffusasi in alcune regioni (es. Liguria, Lombardia, Emilia Romagna), il movimento scout in Italia si divise tra il CNGEI di orientamento patriottico e nazionalista, e l’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana (ASCI), che in seguito avrebbe cambiato il nome in AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani). Fondata nel 1916, l'ASCI adottò il modello educativo di Baden-Powell inquadrandolo in una visione cristiana della vita e della società. I metodi scout sembravano ben integrarsi con la pedagogia religiosa di massa avviata a fine Ottocento da Don Giovanni Bosco e poi continuata dagli oratori della Società Salesiana. Nel corso del Novecento, gli oratori parrocchiali divennero uno degli spazi educativi extra-scolastici più capillarmente presenti in tutto territorio nazionale.
Anche le organizzazioni politiche socialiste e comuniste promossero attività culturali e socioeducative extra-scolastiche rivolte ai giovani, al fine di coinvolgere le nuove generazioni nei nascenti partiti di massa di sinistra. Nel 1907, ad esempio, nacque la Federazione Giovanile Socialista (FGS), aderente all’Internazionale Giovanile Socialista, di cui condivide gli obiettivi di educazione pacifista, insieme a quelli di tutela sindacale della classe giovanile di lavoratori. A cavallo tra i due conflitti mondiali, inoltre, l’associazionismo sportivo giovanile ricevette impulso dall’Unione Internazionale Socialista per l’educazione fisica e lo sport (UISES).
La partecipazione dei giovani nei nuovi partiti popolari di massa trovò una naturale sede nelle ‘Case del popolo’, spazi di socialità, cultura e tempo libero che iniziarono a diffondersi in Italia a fine ‘800 sull’esempio delle ‘Maison du Peuple’ in Belgio. Le prime Case del popolo in Italia nacquero nel 1893 in Emilia Romagna e si diffusero soprattutto nelle Regioni del Nord. Una delle ragioni fondative delle Case del Popolo era integrare l’attività politica con quella culturale e di servizio alla comunità, ponendosi sulla scia del movimento associativo popolare che, dalla seconda metà dell’800, aveva dato vita alle associazioni di mutuo soccorso e alle cooperative operaie. Nelle Case del popolo le attività di produzione e fruizione artistica (es. cori, bande musicali, teatro sociale, sale per concerti) si combinavano con quelle auto-educative (biblioteche, sale lettura) e ricreative (caffè, ristoranti, birrerie). Oltre ad essere sede di partiti politici e sindacati, quindi, le Case del popolo ospitavano anche associazioni giovanili, centri culturali e associazioni sportive.
Più tardi, il movimento Fascista (1922-1943) avrebbe messo i giovani al centro del suo progetto politico, utilizzandoli come molla per la sua ascesa iniziale e promuovendo la ‘giovinezza’ come mito politico su cui basare la propria strategia di consenso e mobilitazione. La vitalità giovanile veniva messa al servizio di un progetto politico espansionistico e militarista. Per far questo, il Fascismo costruì un sistema educativo di massa che si proponeva di occupare integralmente il tempo libero dei giovani, finendo per strumentalizzare anche la scuola come mezzo di indottrinamento ideologico, insieme alla graduale soppressione delle associazioni educative, politiche e culturali nate precedentemente al regime.
Dopo la parentesi del sistema educativo di Stato creato dal Fascismo, nel Secondo dopoguerra le attività educative svolte al di fuori della scuola ritornarono prevalentemente nella sfera delle associazioni. In questo periodo, l’assenza di un intervento diretto dello Stato lasciava spazio alla diffusione di una pluralità di associazioni gestite da partiti politici e organizzazioni religiose, o comunque in gran parte collegate a ideologie politiche o religiose. Negli anni ’50, la tradizione mutualistica e associativa di sinistra venne raccolta dall’Associazione Ricreativa Culturale Italiana (ARCI), che soprattutto dagli anni ’60 in poi coinvolse un numero crescente di giovani, fino a diventare tra le più estese reti nazionali di spazi culturali impegnati a livello culturale, politico e sociale.
Il clima di violenza e terrore degli anni ’70, così come il senso di fallimento o tradimento degli ideali portati avanti dal movimento giovanile del ’68, contribuirono a generare anche nel mondo associativo giovanile un diffuso atteggiamento di rifiuto verso le ideologie totalizzanti. Negli anni ’80, la partecipazione dei giovani era sempre più incentrata sul valore dell’impegno sociale rispetto ai problemi del presente (es. il disarmo, la pace, la tutela dell’ambiente, i diritti delle donne) e quindi meno orientata da visioni ideologiche della storia e del cambiamento. Da qui in poi, il pluralismo (culturale, religioso o politico) diventò in linea di principio un valore largamente accettato sia nell’associazionismo educativo e culturale rivolto ai giovani, sia nelle politiche giovanili che iniziavano a prendere forma a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
Che cosa si intende per youth work in Italia
Youth work in Italia: l’animazione socio-educativa per i giovani
In Italia non esiste una definizione ufficiale di ‘youth work’ inteso come specifica forma di lavoro socioeducativo rivolto ai giovani. A livello nazionale è in corso di discussione una norma sul riconoscimento dello youth work, espressione tradotta in Animatore socio-educativo per i giovani (AISEG). Tuttavia, in alcune leggi regionali è già possibile rintracciare un primo inquadramento del lavoro professionale o volontario riconducibile all’animazione socio-educativa.
Nella Legge Regionale 14/2008 dell’Emilia Romagna, ad esempio, all’animazione socio-educativa è attribuito il compito di coinvolgere gli adolescenti nei ‘processi di assunzione di responsabilità, di impegno, di educazione alla cooperazione e alla solidarietà’. La stessa Legge Regionale, inoltre, definisce il lavoro socio-educativo di strada come metodo specifico volto a ‘rafforzare i fattori protettivi e ridurre quelli di rischio’ (art. 14, c. 7).
Con riferimento ai Centri Giovanili, le leggi regionali tendono ad affidare agli operatori il compito di incoraggiare tra i giovani sia esperienze autonome di apprendimento all’interno, sia progetti di iniziativa giovanile. La Legge regionale di politica giovanile della Regione Piemonte, ad esempio, evidenzia come i Centri Giovanili dovrebbero ‘produrre in modo partecipato il progetto di uno spazio che permetta ai giovani del territorio di relazionarsi, socializzare con i propri coetanei attraverso la libera realizzazione di attività legate ai loro interessi’ (Legge Regionale Piemonte 6/2019, art. 12, c. 2, lett. a). Nella stessa Legge (art. 1, c. 2), il Piemonte presenta una delle prime definizioni ufficiali in cui gli operatori di animazione socio-educativa sono esplicitamente denominati ‘youth worker’, definendoli come ‘figure che consentono ai giovani di sviluppare il loro capitale umano, rafforzare quello sociale e far cambiare eventuali comportamenti a rischio’. Come si legge nel testo di questa legge, compito specifico degli youth worker è ‘ampliare la partecipazione giovanile, accrescere l'autonomia e l'inclusione dei giovani nella società e rafforzare le organizzazioni giovanili’ (art. 15, c. 2).
Similmente, la Regione Puglia mette a fuoco una definizione di youth worker nell’area adolescenza, presentandoli come figure specializzate nel ‘garantire la relazione di prossimità con gli adolescenti, al fine di assicurare un miglioramento personale e di conseguenza della società futura’ (art. 6, Legge Regionale 14/2020).
Passando al livello nazionale, la Legge 285/1997 (‘Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza’) offre alcune linee di inquadramento del lavoro socio-educativo rivolto agli adolescenti. Diverse attività prioritarie individuate nell’art. 3 sono indicative di alcuni compiti chiave attesi dagli operatori, in particolare il sostegno alla relazione genitori-figli, il contrasto della povertà e della violenza, l’affiancamento di percorsi alternativi al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali.
Infine, tra le poche definizioni normative dell’animazione socio-educativa giovanile a livello nazionale, rientra quella della L.206/2003 dedicata alla funzione socio-educativa degli oratori, intesa come attività volta a ‘favorire lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dei minori, degli adolescenti e dei giovani di qualsiasi nazionalità residenti nel territorio nazionale [attraverso] programmi, azioni e interventi, finalizzati alla diffusione dello sport e della solidarietà, alla promozione sociale e di iniziative culturali nel tempo libero e al contrasto dell'emarginazione sociale e della discriminazione razziale, del disagio e della devianza in ambito minorile’ (art. 1, c.2).
Pratiche e spazi di animazione socio-educativa per i giovani in Italia
L’espressione ‘youth work’ è poco utilizzata nelle politiche giovanili in Italia, oltre a non essere ancora definita e inquadrata a livello legislativo nazionale. Tuttavia, una pluralità di pratiche, politiche e operatori si possono far rientrare potenzialmente nella categoria generale dello youth work per come inteso a livello Europeo e in diversi Stati Membri. In particolare, in questa categoria si possono includere i seguenti spazi e interventi sostenuti dallo Stato a partire dagli anni ’80 e tutt’ora operativi:
- Gli spazi di aggregazione e le pratiche di animazione socioeducativa per adolescenti, es. i CAG-Centri di aggregazione giovanile, i gruppi di sostegno educativo, il lavoro socio-educativo di strada, l’animazione socio-educativa all’aperto (outdoor education), ludoteche, campi e centri estivi, centri polivalenti per minori a rischio;
- I Centri Informagiovani dove gli operatori sono specializzati nell’informazione e orientamento in diversi ambiti (tempo libero, formazione, lavoro, servizi essenziali, opportunità formative e di lavoro all’estero ecc.);
- I Centri Giovanili (o Spazi Giovani) che coinvolgono in prevalenza giovani (18-25) e giovani-adulti (26-35) e sono particolarmente orientati a sostenere iniziativa e progettualità giovanile;
- il Servizio Civile Universale, un’esperienza di volontariato giovanile sostenuta dallo Stato al servizio di difesa non armata e non violenta della Patria; il programma prevede una figura specifica impegnata nell’accompagnamento formativo ed educativo dei giovani volontari (Operatore Locale di Progetto) (si veda la sezione 10.5.2 per dettagli su questa figura);
- le pratiche di animazione socio-educativa nei progetti finanziati dall’Unione Europea nel settore giovanile (scambi giovanili, esperienze di volontariato, progetti di partecipazione alla vita democratica, progetti di iniziativa giovanile, mobilità transnazionale degli animatori, partenariati strategici per il riconoscimenti dello youth work), attuati in Italia dal 2007 con l’assistenza tecnica dell’Agenzia Nazionale per i Giovani (ANG).
(si rinvia al paragrafo 10.2, 10.3 e 10.5 per ulteriori dettagli)
Per numero di strutture diffuse sul territorio e numero di giovani che partecipano alle loro attività, le principali organizzazioni che hanno ereditato le tradizioni storiche di animazione socioeducativa giovanile sono:
- gli Oratori parrocchiali, l’associazione scout AGESCI e l’associazionismo educativo (es. Giovani di Azione Cattolica) nell’area Cattolica;
- le associazioni scout aconfessionali, tra le quali il CNGEI è quella con il più alto numero di iscritti;
- la rete dei circoli ARCI, dove giovani e adulti sono impegnati in attività culturali e di impegno sociale in diversi ambiti (es. accesso alla cultura, rigenerazione urbana, apprendimento permanente, diritti dei migranti, educazione alla legalità); nel 2010 l’ARCI ha elaborato un proprio ‘Manifesto Pedagogico’ che riconosce e promuove l’impatto educativo-formativo dei propri circoli verso le giovani generazioni (nella rete federale ARCI rientra anche Arciragazzi, un consorzio di circa 80 spazi educativi per bambini e adolescenti)[1].
Fin dagli anni ’80, i programmi dell’Unione Europea nel settore giovanile hanno contribuito a formare una nuova generazione di animatori socioeducativi maggiormente ancorati alle politiche e al dibattito Europeo sullo youth work. I progetti finanziati da questi programmi, infatti, hanno richiesto alle organizzazioni partecipanti di assumere un ruolo di facilitazione e accompagnamento educativo dei giovani coinvolti. Inoltre, i programmi Europei hanno finanziato in modo continuativo progetti specifici volti al riconoscimento e allo sviluppo delle competenze di youth work, a cui anche le organizzazioni Italiane hanno partecipato. Queste opportunità formative sono state offerte anche dai partenariati strategici tra Agenzie Giovani Nazionali, alcuni dei quali promossi dall’Agenzia Italiana.
Negli ultimi anni stanno nascendo in Italia le prime reti informali tra operatori che iniziano a riconoscersi ‘youth worker’ da una prospettiva Europea, come ad esempio la rete Youth Worker Italia. Recentemente, inoltre, è stata costituita Ninfea (National Informal and Non-Formal Education Association), associazione nata con lo specifico obiettivo di promuovere ‘la professione dell’Animatore per la gioventù, anche detto youth worker, del Formatore per la gioventù e dell’Animatore socio-educativo’ (fonte: pagina Facebook dell’associazione). Tra i primi ‘think thank’ online sul tema specifico dello youth work e curati da organizzazioni attive nei programmi Europei si segnala youthworker.it, un blog che si propone di ‘aggiornare lo stato dell’arte sullo Youth Work e lo Youth Worker in Italia a partire da cosa succede in Europa e nel resto del mondo’ (fonte: youthworker.it) .
[1] The historical developments and the current landscape of youth work in Italy presented in this section is based on Morciano (2017). Youth work in Italy: between pluralism and fragmentation in a context of state non-interference. In: H. Schild. N. Connolly F. Labadie J. Vanhee H. Williamson. Thinking seriously about youth work and how to prepare people to do it. p. 91-103, Strasbourg: Council of Europe Publishing, ISBN: 9789287184160
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